Le chiamano “stragi di stato” e hanno cadenze politiche ed economiche ben precise. Scoppiano all’improvviso, colpiscono la gente comune, per renderla vulnerabile, per indurla a cercare protezione. Controllo e prevenzione si mischiano. L’esercito nelle strade diventa giustificato. La protesta anche civile diventa più facile definirla sovversione. Mafia, poteri occulti, servizi segreti…raramente della matassa si è trovato il bandolo. Eppure sono le stragi dove la cautela nell’identificarne la paternità non esiste proprio. Anzi. Sembra un gioco identificarne subito una matrice che semini il terrore che induca a rivolgersi se non al padre al patrigno di uno Stato che improvvisamente ha bisogno di coesione. Sarebbe più facile se ci fosse anche equità. E invece è la sperequazione che si tenta di giustificare. Non erano sangue del quale rispondere il lungo elenco di suicidati. Forse perchè il sangue che scorre non è per tutti uguale. La gente comune piange. Madri e padri, ragazzi, territori abbandonati. Loro piangono e altri svolazzano a cerchio nel cielo. Altri ancora si avvicinano a confezionare orazioni e preghiere interessate. Avvoltoi e sciacalli, in un mondo spietato. Dove l’interesse uccide, con le leggi e con le bombe.