Dal 21 settembre al 29. Da settembre ad ottobre. La paranza è una danza che si balla in latitanza e chi frigge non è solo il tifoso del calcio. È l’immagine di una terra allo sbando che non ha amministratori capaci di guidare il carretto. In balie di onde di burocrazia. In un mare dove le correnti sono spesso di carattere politico. Non è il Cagliari che non ha uno stadio, è una terra che non ha cervello, che sputa da una parte e raccatta dall’altra. Sputa sulla logica soluzione che aveva sottomano (Is Arenas) e raccatta l’idea del Sant’Elia senza riuscire a farne una delle tante bidonville che ospitano calcio in Italia. Perchè la reggia si permette di farla costruire adattando le regole al primo straniero che passa. E il restauro dello stadio da rottamare si concede tempi biblici, per le solite lungaggini, esasperate da presunti dispetti e antipatie. Di fatto, si va dal 21 al 29, da settembre ad ottobre, fino alle calende greche. Con un unico risultato: non c’è lo stadio, i Sardi veri provano vergogna, la loro identità è resa ridicola agli occhi del superficiale osservatore esterno. Danni su danni che non sono solo per il tifoso del calcio. Sono danni per l’Isola. Danni che nessuno paga e di cui pochi si preoccupano. Se non il tempo di strappare con l’inganno un voto. Semprechè ai Sardi non cresca la memoria. Solo allora i venditori di fumo e gli assassini di sogni avranno ciò che meritano. Un posto nell’enciclopeda del peggio.