Non si tratta di nostalgia per la piccola bottega ma di una catena produttiva che va aggiustata. La crisi sta raggiungendo livelli preoccupanti e recuperare posti di lavoro è alla base del rilancio dell’economia. Bisogna ripartire da ciò che abbiamo ed evitare di andare a cercarlo altrove esportando di fatto il piccolo prodotto interno lordo.  Il pane lavorato nel Paese, la frutta e la verdura locale, i mestieri antichi per evitare lo sfrenato consumismo. In sintesi spendere quanto più vicino a casa, dove  “vicino” sta per “attività locale”. Una rinnovata sensibilità che non è puro campanilismo. C’è una differenza notevole tra l’euro che spendo dall’artigiano vicino di casa e i 50 centesimi spesi nel Centro Commerciale. L’euro rigenera lavoro, i 50 centesimi finiscono nel pozzo dal quale non posso più recuperarli. C’è bisogno di  sacrificio comune: abbattere quanto più possibile i  costi dei prodotti locali; spendere qualche spicciolo in più capendo l’investimento: i soldi rimangono all’interno del territorio,   si vendono più prodotti , si produce di più, si lavora di più, si spende di più, così da chiudere la catena. Non basta però l’iniziativa personale. Le Amministrazioni, da quelle locali ai vertici Regionali devono incoraggiare la ripresa facilitando l’operazione, rivedendo la politica dei contributi, evitando che sia assistenzialismo gratuito se non addirittura clientelistica. Rimborsi a chi compra nelle aziende locali, abbattimento di costi fissi per tasse e energia per le aziende locali tali da rendere concorrenziali i prodotti, strategie mirate a ridurre i passaggi dal produttore al consumatore. Siamo al collasso. Rimettere in circolo il poco che abbiamo può servire a scoprire il tanto che non sfruttiamo.