
Non credo al Superuomo
- Luglio 24, 2011
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[youtube]https://www.youtube.com/watch?v=4hOukGmu9j0[/youtube]Sono ormai vent’anni che il vento che spira ha cambiato il modo semplice di concepire la politica. In gioventù si votava Democrazia Cristiana, Partito Comunista, Partito Socialista, Partito Sardo d’Azione, Movimento Sociale. Da vent’anni a questa parte si è iniziato a votare Berlusconi, Prodi, Casini, D’Alema, Fini, Pili, Soru, Cappellacci. Un ricorso politico e filosofico che sembra quasi dimostrare le onde della storia e della società, i flussi e riflussi che finiscono per determinare il bisogno di credere all’insieme o al singolo condottiero. Abbiamo la fortuna di poter comparare e di valutare a fondo ciò che è successo. Mi importa relativamente in questo momento la politica italiana. Mi soffermo a verificare che anche l’elettorato sardo ha subito la moda italiana e internazionale. Puntualizzo: l’elettore che ha accettato di continuare a votare. Perchè l’elettorato è un numero molto più ampio che ha visto ingigantirsi il numero di coloro che solo apparentemente hanno rinunciato al loro diritto di scegliere. La rinuncia è una scelta politica al pari di un voto. Forse di più. Perchè votare il meno peggio convinti che sia questo l’unico modo per andare avanti è stata la trappola che ha trasformato le coscienze in numeri, le persone in strumento. Coscienze che pian piano si stanno riaffermando intorno ai contenuti. Le pale eoliche nel mare, il nucleare, i radar, Quirra, sono solo alcuni dei passaggi che hanno spazzato via le false appartenenze. Anche molti dei Nostri Politici cominciano a riascoltare il loro cuore e tentano di levarsi di dosso il giogo a cui si sono sottomessi nella dinamica della produttività elettorale. Si parla sempre più insistentemente di temi e non di stemmi. Su questi temi bisogna avere il coraggio di buttare via le maschere. Se necessario, di ammettere di essere saliti su un carro che non era quello della Nostra Isola. E’ necessario che tutti i Sardi sappiano guardare aldilà della barricata in cui si sono nascosti e dietro dalla quale hanno combattuto falsi avversari. Non ci sono avversari se l’obiettivo diventa il bene della società, la valorizzazione delle nostre risorse, la difesa del territorio, la ricerca di soluzioni a mali atavici. Gli unici avversari sono i conquistatori e gli ammaliatori. Sono le caste della aristocrazia politica nazionale che fa capo agli squali. L’emancipazione comincia dal riconoscere il minimo comune multiplo di NOI SARDI. E non potrà certo bastare un Superuomo: è necessario ritrovare la capacità di lavorare insieme. Perchè gli uomini, per quanto grandi hanno una sola coscienza e non possiedono l’onnipotenza. La società, come insegna la storia, sopperisce ai limiti di un solo uomo. Nel bene e nel male. Per progredire o per delinquere
maria angela cadau
In una società dove primeggia l’egoismo, l’arrivismo, la furbizia (nel senso peggiore del termine), lo sgomitare per arrivare prima degli altri e non importa con quali metodi, dove quando si và a votare si pensa prima di tutto a cosa quel politico (superuomo) potrà fare per il proprio tornaconto (dell’elettore) e non per la società intera…ce n’è di lavoro da fare prima di riuscire a inculcare una minima parvenza di senso del bene comune!
Roberto
Brava Angela.. Hai detto benissimo..
Ignazio Zini
Credo che la Sardegna abbia bisogno di una forza trasversale capace di catalizzare, dietro un unico grande progetto di rinascita economico, culturale e sociale, tutte le intelletualità sarde. Intelletualità che tropppo spesso, come giustamente affermi, si sono nascoste dietro a stemmi e non a temi. Mi chiedo però quanto, agli occhi del popolo, alcune di queste intelletualità si siano compromesse col loro agire passato, basandosi su personalismi esasperati e su ambizioni personali. Se si vuol cambiare, bisogna riuscire a coinvogere il maggior numero di sardi, compresi coloro che si son rifiutati di andare a votare col naso turato il meno peggio, con un progetto credibile e attuabile, proposto da persone credibili e “spendibili” socialmente prima che politicamente. Lo scoramento e il senso di fatalismo che priva di ogni speranza, pervade la società sarda. Un pessimismo cosmico di leopardiana fattura, che però, a mio avviso, è sintomo di consapevolezza. Consapevolezza che il nostro peso politico è irrilevante a livello nazionale, che la società sarda è divisa dietro a personalismi e miseri interessi particolari che zavorrano la crescita della nostra terra sotto tutti i punti di vista, e che chi siede nella stanza dei bottoni, il più delle volte è asservito a interessi exstraterritoriali che non solo non fanno il nostro bene, ma paiono proprio danneggiarci volutamente. E proprio da qui bisogna ripartire, da questa acquisita consapevolezza. Bisogna indirizzare le coscienze smarrite verso quella strada che porta all’unità del popolo, basandola non su effimere promesse da mille e una notte, ma sulla convinzione che il bene comune, una società unita, solidale e forte, fà il bene del singolo e non viceversa. La Sardegna non ha bisogno di una rivoluzione, ma di “rivoluzionari” che riescano a far cambiare il modo di percepirla, viverla e amministrarla e perchè no, di immaginarla… Un caro saluto Vittorio!