Ho il diritto di difendere quell’esagitato che per l’ennesima volta ha preso ad urlare scomposto alla radio. Ho il diritto di farlo per spiegare come il gioco del calcio rischi di morire. Quell’esagitato è un bambino. E’ un bambino che gioca con quello che di base è uno sport, il confronto tra due squadre che dalle capacità collettive e individuali devono trarre le risorse per cercare di superarsi. Il gioco al centro di una filosofia fondamentale. Perchè si realizzi c’è bisogno di stabilire delle regole che garantiscano la corretta esecuzione del confronto, senza contaminazioni che possano alterare il valore delle squadre in campo. Le regole come strumento che un arbitro utilizza, quando ce ne fosse bisogno, per ricondurre alla corretta esibizione delle capacità delle parti in causa. Il bambino che sbraita, batte i piedi e si lamenta alla radio lo fa perchè le regole gli rovinano il gioco. Sono diventate padrone loro stesse del calcio. Diventano più importanti del gioco per il quale sono nate. Passi avanti sono stati fatti nell’interpretazione del fuorigioco, che utilizzo ad esempio, per dimostrare l’incoerenza. Quella che era una regola assoluta ha avuto bisogno di norme. Oggi, a differenza di un decennio fa, non è sempre fuorigioco. Lo è quando la posizione condiziona l’esecuzione corretta dell’attacco. Il principio è assoluto e va applicato in tutte le situazioni di gioco. Le regole si applicano solo quando l’esecuzione corretta dell’azione è stata compromessa o condizionata. Non certo il caso di Klose, lui stesso a fine partita testimone di non aver subito fallo. Perchè chi gioca al calcio e chi ama il gioco del calcio non può star dietro ai burocrati che utilizzano i cavilli per condurre il gioco ai loro voleri. Il gioco ha bisogno di arbitri, non di direttori di gara. Nal calcio italiano esistono gli uni e gli altri. Amo gli arbitri, detesto i direttori di gara. Perchè i primi utilizzano le regole per il corretto svolgimento del gioco. I secondi utilizzano le regole per dirigere il gioco dove vogliono loro. L’esagitato è un leopardiano convinto. La sua poetica del fanciullino la vive in tante situazioni professionali, tale da condirle con la passione. Non può vedere il calcio morire, il gioco che ama. E strilla. Gli hanno rubato il calcio. Proprio come gli hanno rubato la società. Lo stesso meccanismo infernale e perverso fa parte della quotidianità che ci stritola. Le regole non sono funzionali alla corretta convivenza sociale: sono le regole a comandare e ormai, schiavi, viviamo per la loro funzione speculativa. Le tasse, non per i servizi ai cittadini ma per sanare le malefatte dei delinquenti. Il calcio italiano è cosi. Sta uccidendo il gioco, non avendo arbitri. Sta attuando la politica attraverso direttori (anche di gara) che  tracciano la strada e stabiliscono il destino. Anche nei novanta minuti di infantile passione.