Prima l’urbanizzazione, poi la deurbanizzazione, quindi il deserto. “L’urbanistica è una disciplina che studia il territorio antropizzato (la città o più in generale l’insediamento umano) ed il suo sviluppo.” L’insediamento umano… Il Poetto (come tanti altri ambienti) ha subito nei primi anni di vita il processo di insediamento umano, senza un equilibrio, senza un progetto di urbanizzazione che tenesse conto dell’impatto dell’uomo sul territorio. Dal 1913 in poi c’è stato l’assieparsi di strutture che ospitavano in modo indiscriminato l’uomo, già da allora incapace di tutelare l’ambiente. Uomo e ambiente in uno stretto rapporto, in una concatenazione che scopriva inconsciamente un nuovo settore produttivo legato al tempo libero, oggi chiamato turismo. Mancava (e manca ancora oggi) la consapevolezza di cosa significasse urbanizzazione. Il malinteso castrante (poco metaforico perché ci siamo tagliati le palle) arriva a fine secolo quando si comincia a mettere al bando l’uomo. Invece di curare si usa sopprimere. Così venne fatto per i casotti: producono inquinamento, quindi sradichiamoli. La legge del taglione. Applicando concetti babilonesi si asportava il male pensando di poter mantenere in vita il resto. A nessuno venne in mente che le strutture potessero essere conservate e riadattate. Completate con servizi annessi che potessero riequilibrare le sorti della spiaggia. Dismissione totale e esposizione agli agenti atmosferici della spiaggia. Oltre ai casotti erano state costruite le case, le strade, alterato l’habitat “senza uomo” che proteggeva l’arenile. Dopo la deurbanizzazione, il deserto. Per fermare la desertificazione la brillante idea del ripascimento. “A pasci procusu!” direbbe oggi qualcuno visto il risultato. La spiaggia “antiuomo” ha avuto un sussulto con i baretti, l’unica presenza urbanizzata, ma anche quelli, che casotto! Il discorso del Poetto è esemplare. È simile all’Asinara senza uomo in cui i cinghiali mettono in pericolo l’habitat. È riconducibile ai parchi vietati. E’ rapportabile agli anfiteatri, luoghi sorti per essere frequentati e ora severamente chiusi al pubblico. Tristezze dell’incapacità di urbanizzare, di saper equilibrare l’impatto dell’insediamento umano. L’uomo che mette al bando se stesso. Un suicidio sociale che va fermato. L’uomo deve valorizzare se stesso e dimostrare che è capace di essere intelligente. Almeno come gli animali che hanno alla base della loro sopravvivenza la capacità di adattarsi all’ambiente. Visti i risultati umani, un’intelligenza superiore alla nostra