Siamo fermi in mezzo al Mediterraneo da millenni eppure sembriamo sempre più distanti. Da una parte la Penisola Iberica che c’è stata allieva e poi cattiva maestra. A sud l’Africa che molti vorrebbero sia il nostro stesso continente. A nord la sorella Corsica dalla quale ci hanno staccato quando abbiamo perso la nostra paternità e maternità. Dall’altra l’Italia che dovrebbe essere la generosa matrigna. I chilometri sono sempre gli stessi ma le distanze sono cresciute. La Nostra Isola in mezzo al mare è difficile da raggiungere. Non ci sono ponti, non ci sono navi, non ci sono aerei. Se non per pochi carissimi posti. Stando soli dovrebbe più logico dover fare anche da noi. E invece: siamo soli e siamo anche soggetti al comando altrui. Seus su corrazzu de s’Italia. Candu oint pigai su friscu si inciundinti su cu in s’acqua de mari. Ma in tottu su ierru ci fuianta s’aliga e ghettanta a pari su logu senza domandai mancu su prexieri. Siamo isolati, sempre più lontani. Dovremmo imparare a fare da soli e invece pendiamo dalle labbra dei nostri crudeli padroni. Sa cosa chi mi spantara est chi no si moveus. Seus frimmus a pigai tzugaras. Le ultime sono i soldi delle tasse versate che non ci rendono. I collegamenti aerei compromessi da nuove tasse aeroportuali. Le scorie nucleari che in barba a qualsiasi parere e referendum ci porterebbero di nascosto senza dover giustificare perché “segreto di stato”. Ma ita ancora si depint fai po si scabulli? O abarraus aicci, ponendi a menti a quattru burricus chi contanta cazzaras. Se non prendiamo in mano il nostro destino la strada è segnata. Invece di litigare a chi est prus bellu e derettu toccara a si ponni impari e ampuai in su carru. Solo così la nostra isola riprenderà le giuste distanze e uscirà dalo vicolo cieco in cui siamo stati cacciati