
LE PRIGIONI DELLA POLITICA
- Giugno 26, 2013
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E’ una trappola mortale in cui una volta che entri rischi di non uscire. Sono i palazzi della politica dove anche chi entra con grande passione rischia di rimanere incastrato dall’auto referenzialità. Sono anni che raccolgo storie di rappresentanti capaci, prestati all’amministrazione per evadere le istanze della collettività. Una volta dentro, non riescono più a guardare il mondo. Muri grigi, stanze vuote, carte e chiacchiere, armi della burocrazia che privano del contatto costante con il mondo. Le prigioni della politica hanno sbarre che si innalzano nella nostra mente. Hanno fossati che ci tengono lontani dalla nostra origine. Hanno coccodrilli pronti a mordere se cerchi di scappare. E’ un incastro perfetto che ha distrutto la democrazia attiva. Quella nata nelle piazze, nelle agorà, all’aria aperta. Ora c’è bisogno di scranni e microfoni, di cravatte e bei discorsi, di tasti da pigiare o mani da sollevare. E’ la fabbrica che distrugge le buone intenzioni. Assaltare le prigioni della politica è un nostro dovere. Per riaprire la mente, per conservare il dialogo. Per non ridurlo al confronto tra ventiquattro, sessanta o centinaia di “colleghi”. Tutti prigionieri che fanno fatica a guardare il mondo che si muove. Quel mondo a cui se non gli parli dovranno poi rispondere. Rischiando che sia troppo tardi per salvare la bella intenzione che aveva incoraggiato a varcarne il confine. Prigioni delle quali bisogna abbattere i muri per salvare chi c’è dentro e chi c’è fuori.