È stato un sollievo ritornare al Sant’Elia. Come quando ti passa il mal di denti che ti ha tormentato per lungo tempo. È la normalità, sei un po’ invecchiato, ma aver superato il dolore ti fa sembrare il mondo più bello. Quello che è capitato al Cagliari e ai suoi tifosi. È passato il mal di trasferta che poteva diventare malattia terminale. Eppure da quello stadio si era andati via pensando di poter avere qualcosa di meglio. Allora si rifiutava uno stadio a pezzi. Si puntavano i piedi perché l’uno pretendeva dall’altro che si pagassero i debiti e/o si facessero i lavori. Si è andati via dal Sant’Elia con l’idea di poter avere uno stadio nuovo in tempi brevi, non aspettando, non dialogando. Un progetto che si è rivelato un fallimento. Sono passati diciannove mesi e ci si ritrova nello stesso spazio, ancor più invecchiato. L’importante è essere a casa, in Sardegna. Accontentarsi del poco, di godere di una terra che si distingue. Lontana dal resto del mondo, anche dal resto dell’Italia. Accontentarsi di avere mezzo Is Arenas trasportato in uno spazio diverso. Anche questo nato per il calcio, ma più grande, tanto da non calpestare vincoli naturalistici e da non infastidire i tempi della burocrazia. Ieri è stata una festa. La festa del sollievo ma anche di un fallimento. Guai pensare all’apoteosi. Si è solo riavvolto il nastro, sprecato per 565 giorni. Dal 1 aprile del 2012 si riparte. Con lezioni indiscutibili. Ora la Cagliari Calcio ha pestato il muso. L’Amministrazione Comunale di Cagliari ha avuto ciò che voleva e ha scampato il rischio di dover gestire direttamente un rudere. Si riparte dal fallimento dell’idea di cambiare città. Si riparte con l’obbligo morale e civile di fare qualcosa di meglio. Di realizzare un progetto senza farlo fallire: avere uno stadio nuovo per il Cagliari e un Centro Sportivo per Cagliari e la Sardegna. Ripartendo da ciò che si è montato e smontato ad Is Arenas. Dove i fenicotteri e i loro amici potranno dormire sonni tranquilli.