C’è un filo diretto che unisce il Palio di Siena alla Sardegna. È la storia di una ricorrenza in cui la balentìa isolana finisce per essere determinante ai fini della corsa. Audaci cavalieri, guerrieri che si affrontano a scudisciate, fantini che hanno il solo obiettivo di vincere. Mi affascina il Palio di Siena perché mi dà l’idea di una scena in cui viene celebrata la Sardegna più antica e il suo valore. Non posso scansare il pensiero che mi riconduce all’Ardia di Sedilo, dove il valore diventa voto, dove la corsa è una missione religiosa, dove il coraggio ti avvicina al divino. Mi riesce anche difficile ignorare quante fette di Sardegna si sono trapiantate dentro, a nord e a sud della Maremma. Paesi interi dove le origini sarde finiscono per essere quasi dominanti. Leggo la storia del Palio e scopro che le radici comuni affondano nel tempo. I miti hanno sangue isolano. Il dominio di Andrea Degortes, il mitico Aceto, olbiese di nascita, ancora resiste. Quattordici vittorie. Tali da superare Picino, Angelo Meloni, che sardo non era da generazioni ma porta un cognome che non sfugge alla etimologia. Il Palio è anche Sardo. Cinquanta vittorie di nostri fantini dal 1900 ad oggi. Vittorie e battaglie senza esclusione di colpi. Non è un caso la squalifica più pesante della storia del Palio inflitta ad un oristanese, Franco Casu, venti edizioni. Trattenne in corsa Massimino, il fantino di Norbello e per lui la pena fu severa. Non è un caso l’ingresso nella storia di Tittia. Giovanni Atzeni ha fatto cappotto, vincendo a Luglio e ad Agosto, con due cavalle diverse, con due contrade diverse. Roba da brividi, “tittia”, appunto. Arriva da Nurri, uno dei tanti paesi in cui “nur” sta per mucchio. Un NUR di successi per la Sardegna. Il Nur di Siena che nel Palio ha pietre aggettanti. Una contrada straniera di nome NURAGHE.