Khalil Gibran, insigne scrittore libanese naturalizzato statunitense, scriveva: ‘’L’amore come la morte cambia tutto’’. Cambia ciò che una persona aveva immaginato, pensato, progettato e su cui aveva fantasticato. Cambia improvvisamente il corso delle esistenze e muta il sentire interiore degli individui, nessuno escluso. Ma non può cancellare ciò che è stato fatto in vita, non può togliere le impronte che sono state lasciate sul percorso. Ventisette anni fa, il 19 dicembre 1992, ci lasciava Gianni Brera, coinvolto in un incidente automobilistico sulla strada che collega Codogno a Casalpusterlengo. Da quel giorno molto è cambiato: è mutata l’informazione, è mutato il mondo e le persone che lo abitano e tanto altro. Nonostante ciò, è rimasto indelebile il ricordo di Gianni Brera, considerato a pieno titolo il numero uno e maestro indiscusso del giornalismo sportivo italiano. Nato nel settembre del 1919, Brera, ha rivoluzionato il modo di fare il giornalismo, grazie alla sua vivacità intellettuale e culturale e a un modo di scrivere ricco e particolareggiato tramite cui andava oltre la semplice cronaca sportiva, approfondendo ciò che stava attorno ad un evento, soffermandosi sui protagonisti della varie manifestazioni e andando a tracciare un loro approfondito profilo psicologico. Grazie a Gianni Brera gli atleti non erano più solamente atleti ma diventavano veri e propri protagonisti di una epopea: ciclistica, calcistica, atletica – di cui il giornalista era cultore – ma pur sempre epopea. Gli sportivi venivano proiettati in una sorta di ‘’mito moderno’’ in cui racconto, epica e cronaca sportiva si univano in un perfetto assemblaggio di elementi differenti ma complementari. Venne ribattezzato ‘’il gran lombardo’’ per la sua ottima conoscenza del dialetto lombardo che puntualmente inseriva all’interno dei suoi articoli, pagine preziose di letteratura sopravissute all’implacabile azione del tempo. La sua feconda vena narrativa e letteraria gli permise di introdurre nel linguaggio giornalistico numerosi neologismi tuttora in uso: Riva venne appellato ‘’Rombo di tuono’’, il golden boy Gianni Rivera ‘’l’Abatino’’, Felice Gimondi ‘’Nuvola Rossa’’, Boninsegna ‘’Bonimba’’ e via dicendo. I suoi resoconti erano accompagnati da illustri riferimenti letterari, dovuti a una solida cultura classica. Ha legato la sua firma alla “Gazzetta dello sport” – di cui fu anche direttore – al “Guerin sportivo”, al ‘’Giorno’’, a ‘’Il Giornale’’ di Indro Montanelli e a ‘’La Repubblica’’ cui rimase legato dal 1982 sino alla sua scomparsa. Amava mettere soprannomi Brera, non solo agli sportivi ma anche ai suoi amici più stretti: Mario Fossati, uno dei giornalisti nostrani più preparati e bravi di tutti i tempi, veniva affettuosamente chiamato da Gianni Brera ‘’Mariòn, il generale’’. Amava scherzare, ma senza superare mai i limiti e cadere nella trappola della battuta becera e fuori luogo. Il suo exploit a livello giornalistico avvenne nell’estate del 1949, grazie alla Grande Boucle da lui seguita come inviato e che lo fece conoscere all’opinione pubblica e a tutti gli appassionati che comperavano la Gazzetta – quotidiano sportivo nel quale entrò a far parte nel 1945 per volontà dell’allora direttore Bruno Roghi – per leggere i suoi resoconti relativi alle singole tappe disputate nel corso delle tre settimane di gara. La fantasia di Gianni Brera non conosceva limiti, garantendogli una continuità e una velocità d’azione fuori dal comune e una capacità di mantenersi costantemente su ottimi livelli di scrittura. Dietro il suo modo di scrivere stava un lavoro attento, risoluto e certosino, che permetteva di descrivere con dovizia di particolari il gesto atletico di uno sportivo e tutto ciò che ad esso aveva portato. Era una figura singolare Brera, indubbiamente unica e difficilmente imitabile: una commistione di sfaccettature e lati caratteriali dettati da quelli che lui definiva ‘’astrusi inquilini di se stesso’’. Brera ha saputo sfruttare e adoperare al meglio quel bene prezioso – di cui oggi sembra ci si sia dimenticati – quale è la parola, nobilitandola e adattandola ai più disparati contesti, abile nel saper utilizzare registri linguistici appartenenti a quello che gli antichi latini chiamavano ‘’sermo humilis’’ e capace di elevare il tono della sua narrazione quando il momento lo richiedeva. Tra contrade, storie da acchiappare e raccontare, accompagnato dalla sua immancabile pipa, Gianni Brera è stato il cantore di partite entusiasmanti, di agguerriti duelli sulle strade, di campioni, fuoriclasse ma anche di comprimari e gregari, necessari per dare corpo e intensità a frammenti di vissuti resi narrazioni avvincenti e colorate. Haruki Murakami, noto scrittore giapponese, in uno dei suoi libri di maggior successo intitolato ‘’L’arte di correre’’ ha scritto. ‘’Ognuno lascia la sua impronta nel luogo che sente appartenergli di più’’. Quella di Gianni Brera risiede nelle vecchie pagine dei giornali, nelle raccolte dei suoi articoli e in tutti coloro che ne serbano il ricordo. Quella di Gianni Brera è, soprattutto, una impronta indelebile, una lezione preziosa per tutti coloro i quali si avvicinano al mestiere del giornalista e al giornalismo stesso: non quello fatto da sensazionalismi, errori grammaticali, ricerche di scoop e strafalcioni, ma un giornalismo fatto con coscienza, etica e moralità, destinato a rimanere nel tempo e da cui trarre spunti di riflessione significativi e sempre attuali.
Di Mattia Lasio