
FABIO ARU È MIO PADRE
- Luglio 19, 2017
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È il 25 maggio del 2014. Fabio Aru quel giorno è diventato mio padre. Lui, Fabio, negli ultimi 800 metri scatta e fa il vuoto vincendo a Montecampione. Un sardo, di Villacidro. Mio padre, 12.000 km in bicicletta di media all’anno, dai 60 agli 81 anni, è appena tornato a casa. Dopo tre settimane di ospedale, dopo una frattura al femore. Per i medici dell’Ospedale Marino di Cagliari, reparto ortopedia, era guarito, dimesso, poteva iniziare la terapia. Ma dal suo letto non si mosse, non riusciva a muoversi. Piansi nell’ascoltare alla radio l’impresa di Fabio, di un sardo al Giro d’Italia che fin da bambino guardavo ogni pomeriggio insieme a mio padre. Non vedevo l’ora di commentare con lui. Non aveva visto la tappa, era rimasto bloccato a letto. Gli raccontai di Aru, mi sorrise. L’ultima volta. Perché soffriva. Il giorno dopo convinsi il medico a farmi un nuovo foglio di ricovero. Aveva un’ascite, era stato dimesso malgrado ormai fosse alla fase terminale di una cirrosi epatica risvegliata con l’intervento. Due giorni dopo Montecampione mio padre ci ha lasciato. Da allora ogni volta che vince Aru riaffiora in me il dolore e la gioia. In un frullato di emozioni. La rabbia per un sistema medico fatto a orticelli (curo la frattura me ne fotto dell’epatite). La gioia di quel sorriso. L’ultimo di un appassionato per i pedali che mi ha trasmesso questo culto. Vinci Fabio perché ogni volta vince mio padre. Fabio Aru, dal 25 maggio del 2014 è mio padre.