L’arte pedatoria non si può esprimere giocando a cavalcioni tra due stadi. È per questo che il Cagliari giocherà ancora a Trieste, perchè ha un piede ad Is Arenas e uno al Sant’Elia. Non basta per poter giocare in Sardegna. Non basta e non pone prospettive rassicuranti. Se ci fosse una prospettiva concreta, una certezza, non ci sarebbe bisogno di tenere un piede anche nell’altro stadio. Massimo Cellino è disperato e cerca la soluzione su due tavoli. Il primo, Is Arenas, è quello che un bambino, ingenuo, apoliticizzato, spontaneamente e libero da cavilli burocratici, identificherebbe come la soluzione più facile. Ma era così anche dieci mesi fa ma malgrado questo è successo il finimondo. Allo stesso bambino risulterebbe difficile pensare che in meno di un mese si possa riaprire il Sant’Elia. Pestate le mani per aver preso possesso del funzionale Is Arenas stenta a capire come tutti i cavilli possano essere superati. Le norme e le misure di sicurezza dovrebbero essere le stesse in uno stadio che bene che vada rimarrà un cantiere per tre quarti della sua struttura. Non si vuole sollevare il problema scenografico, già triste a suo tempo con la doppia tribuna deserta. Si vuole pensare solo all’agibilità, parola che terrorizza e che è stata alla base di tutte le disgrazie. A cavalcioni tra uno stadio e l’altro con le parti intime strette e incastrate tanto da non potere urlare. Una sofferenza che accomuna. Finchè non verrà liberato il Cagliari e i suoi tifosi, desiderosi di poter urlare insieme. Mai come in questo caso, una liberazione. La fine di un tormento scandito dallo stillicidio che batte da uno stadio all’altro.