Nato, cresciuto, residente ad Assemini. Cittadino attivo solo per ciò che ritengo utile. Meno chiacchiere e più ascolto. Mi rendo conto che è troppo facile per me rispondere al profilo esposto a brevi tratti. Chiacchiere ne faccio per mestiere intorno al calcio. Parole ne spendo esageratamente per raccontarlo. E poi la fantasia. Mi piace usarla per costruire piroette di racconti, metafore e parallelismi, per fotografare il mondo visto dalla mia finestra. A scuola, nel mio bel mestiere, i fronzoli sono utili a creare la comunicazione, gruppo, squadra, sintonia. A tracciare percorsi sempre diversi con unico obiettivo: fare uscire tutti gli alunni dalla stessa porta e con una direzione tracciata. Con la speranza che il loro satellitare non li tradisca, qualsiasi sia l’ambizione, piccola o grande. L’importante che sia onesta e con valori sociali solidi. Non sempre si riesce e i fallimenti per un insegnante passionale sono  dietro l’angolo, soffre sempre per i suoi alunni, anche dopo decenni,  perché il suo mondo è strettamente dipendente da quei figli che la società gli ha affidato. Bella e grande responsabilità. Fare gli insegnanti è complicato quanto fare i genitori. La differenza eventuale tra gli uni e gli altri dipende dalla dose di egoismo, menefreghismo, egocentrismo che si mescola ogni giorno nel tuo fare. Più sei egocentrico e più la colpa è degli altri. Più sei egoista e tanto meno gli altri esistono. Più sei menefreghista e ti assolvi dei consapevoli peccati. Da una parte e dall’altra. Giudicare il compito altrui in questi casi diventa uno sport senza il rischio di perdere. Tutti possono pensare di fare i genitori e di dare i giusti consigli se non possono più dare “cattivo esempio”, direbbe De Andrè. Tutti possono pensare di fare gli insegnanti, d’altronde la scuola è tanto elementare e primaria che la sanno fare anche i bambini. In questo mondo mi piacerebbe fare una riflessione a voce alta. Tempo pieno. Ci lavoro da oltre un decennio. Paragono con il precedente ventennio. Mi accorgo che il risultato scolastico finale (al termine della quinta) è delegato in modo minore alla famiglia. Se la famiglia è buona educatrice, difficilmente il bambino non apprende. Ma se la famiglia ha delle lacune, il compito di tentare di colmare le differenze è dell’insegnante. Più tempo ha a disposizione la scuola e più può incidere nella formazione del bambino.  Deve tarare il suo intervento in una modalità diversa rispetto a chi frequenta 27 ore e non 40, un terzo di differenza. Quel terzo di differenza dovrebbe essere la parte di “compiti a casa” che invece di essere fatti a casa si traducono in maggiori opportunità formative. A casa deve arrivare il bambino con graduali nuove abitudini, da conquistare in 5 anni. Non entro nello specifico, ma sono convinto di ciò che affermo dai risultati che verifico nelle scuole a seguire. L’unica verifica credibile della nostra attività: ciò che rimane in termini educativi e formativi a distanza di tanti anni. Mi emoziona sempre incontrare un ex alunno ormai papà e vedergli luccicare gli occhi come quando era bambino. Anche sotto la barba. Del tempo pieno sono paladino che ne difende i princìpi,  perché in questo ultimo decennio mi sembra (aspetterò la sistemazione finale) di aver innalzato il livello dell'”ultimo” (tra virgolette) della classe, il vero parametro di riferimento, perché i “bravi” (ancora tra virgolette) sarebbero stati bravi con chiunque. Le virgolette significano che i bravi e gli ultimi non esistono. Tanti ultimi ho visto diventare più bravi dei bravi, perché forgiati e abituati a faticare, soffrire e lavorare. Per il tempo pieno è necessaria la mensa. Argomento amaro. Anche il rapporto con il pasto è educazione. Il cibo non è solo “piacere”. È anche necessità di alimentarsi correttamente. Non si può mangiare solo ciò che piace; è necessario provare a mangiare anche ciò che ancora non piace. Molte volte non si mangia ciò che non si conosce. In cinque anni, compito dell’insegnante è anche far conoscere, migliorare il rapporto con il cibo. E anche in questo senso mi sento di dire che l’insegnante può ottenere grandi conquiste. Soprattutto se i suoi alunni mangiano e non solo guardano. In prima sono la maggior parte quelli che guardano e non mangiano. La loro diffidenza è totale. In seconda sono già di meno perché qualcuno ha ceduto all’idea di assaggiare (il patto delle tre forchettate) scoprendo che quel cibo sconosciuto e bruttissimo da vedere in fin dei conti si poteva anche mangiare, senza esagerare. In terza rimangono dietro solo quelli che continuano solo a guardare. Rischi di portarteli fino alla quinta, senza che abbiano mai provato ad assaggiare tutto. Qualcosa sì, ma con diffidenza. Solo per compromesso con l’insegnante che non può certo obbligarli a mangiare per forza. Tutto questo deve poi fare i conti con lo chef. Mi verrebbe da dire che sarebbe bello un concorso di Master Chef aperto ai genitori in cui, dai i cibi della dieta stabilita dalla Asl, considerati gli ingredienti, si dia la possibilità di preparare il menù. Fosse possibile addirittura preparare i pasti e verificare la bontà (gustosa) dei piatti.  Fosse anche possibile presentare i piatti in modo più accattivante (anche l’occhio vuole la sua parte e non va d’accordo con la fretta e con gli orari ridotti degli operatori). Anche tra le mense poi ci sono chef diversi, alcuni che fanno cose più buone di altri con gli stessi ingredienti. Ma degli ingredienti è importante la bontà e la quantità. I due elementi che non possono assolutamente essere traditi. Vanno seriamente controllati. Chiaro che incide il costo, la corsa al ribasso, il prezzo. Ma devono essere comunque di qualità e quantità minima contrattualizzata.  Non possono prescindere in nessun caso perché da loro dipende la salute e la crescita dei bambini. Se mangiano. Se non mangiano poco conta la qualità degli ingredienti e la relativa quantità. Mentre non viene stabilito granché in fatto di capacità degli chef.

Ecco. In sintesi. Il tempo pieno non è solo mangiare alla mensa. Mangiare alla mensa non è un momento ricreativo ma formativo. Parlare di tempo pieno e di mensa non  è solo una questione di propaganda politica o addirittura di campagna elettorale